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Il rapporto arte natura *
Che l’arte abbia avuto un ruolo di mediazione nel rapporto uomo – natura, può essere costatato fin dagli albori della civiltà, basti pensare ai ritrovamenti risalenti al paleolitico come la grotta di Lascaux, in Francia, con pitture murali che raffigurano scene di caccia e di animali. Da qui, ha inizio un lungo cammino espressivo in cui l’uomo consolida la funzione simbolica e estetica dell’arte attraverso il piano della rappresentazione. In seguito, con l’evoluzione della civiltà e delle sue scoperte, l’arte assume anche un valore intrinsecamente funzionale ai “mestieri”. Gli uomini, costruiscono manufatti, creano tecnologie sempre più raffinate e elaborano ingegnosi sistemi di fabbricazione. Ma dal mio punto di vista, se gli artigiani lavorano artisticamente la pietra, il metallo e il legno, i contadini lavorano artisticamente la terra: la scelta dei materiali, le invenzioni meccaniche, il gusto e la fantasia da una parte, la cura e l’amore per la terra dall’altro, danno piena legittimazione artistica a queste attività.
La storia dell’arte ci insegna che la natura in un primo tempo è stata interpretata dall’uomo come potenza divina e soprannaturale per poi diventare paesaggio o scena di vita, di pari passo con l’evolversi del concetto di habitat, spazio abitabile, frutto di una mediazione tra stato di natura e esigenze umane. Fin dal passato la legge di natura, in un continuo confronto dialettico con la legge divina, ha dominato la nostra storia, ma oggi questa contesa sembra relegata in second’ordine, dopo che alcune scoperte in biologia e genetica, hanno insinuato che l’uomo possa essere più forte della natura e di Dio. Il concetto per cui l’arte possa rappresentare il divino e gli aspetti più profondi della natura, dopo una lunga disputa tra realismo e metafisica, cambia e nell’era moderna prende piede un’interpretazione dell’arte più legata a un pensiero positivista, strutturalista, in cui il significato, la funzione e la rappresentazione di un’opera d’arte si condensano nel “progetto”. Se l’arte nell’epoca moderna ancora costruisce e struttura spazi, tempi, forme, dopo l’elaborazione di un momento ideativo originario, immanente e puro, senza alcuna finalità, nella contemporaneità è questo stesso nucleo primitivo a manifestarsi come progettualità strategica. Ciò che viene attestato come arte è l’espressione di un’idea tramite una pratica di comunicazione, che gli artisti esercitano attraverso la completa adesione a una “prassi strategica”, nucleo originario del processo d’ideazione.
Una “prassi strategica”che non solo s’innesta nella profondità della condizione interiore e originaria dell’idea ma che certifica e qualifica le opere disegnando un percorso disseminato di luoghi, persone, occasioni imprescindibili a cui esse devono sottostare.
In questo scenario le problematiche relative alla rappresentazione e alla funzione dell’arte passano in secondo piano e, per chi intenda l’arte come ricerca e percorso evolutivo, emerge la necessità di un approccio diverso. Da qui nasce il bisogno di un diverso modo di porsi sia come artista che come pubblico. La mia proposta è di passare dalla progettualità intesa come “prassi strategica” a un processualità che ponga al centro l’esperienza.
Oggi si dice che l’arte dovrebbe essere accessibile a tutti, che non vi sono limiti né al soggetto né ai mezzi espressivi; si fa un gran parlare dell’aspetto sociale, pubblico, dell’arte, che sottende a una sua presunta concezione “democratica”, dove si fa appello alla partecipazione, al coinvolgimento, alla condivisione. Il confine tra l’artista e il pubblico è osmotico e le opere si manifestano come possibilità materiali, immateriali, analogiche, digitali, virtuali. In questa grande apertura culturale sembrerebbe più facile intravvedere nuove possibilità di ricerca e individuare un senso nuovo del fare artistico. In verità i modelli sostenuti e divulgati dall’industria culturale sono pensati e prodotti per alimentare una grande illusione che ha come sfondo un olimpo di cartapesta animato da spot mediatici, da frasi fatte, da immagini forzate, dove il rapporto tra artista e opera, tra opera e pubblico si regge su un’ambiguità demagogica, allo stesso modo di come avviene, quando interpretiamo il nostro ruolo quotidiano di consumatori. Quest'olimpo, popolato da miti e eroi se pur taroccati e ammiccanti, ci seduce nella sua dichiarata falsità.
Si è perso il rapporto diretto con le cose e le nostre menti sono portate ineluttabilmente a macerarsi nella ricerca di trucchi, seduzioni e strategie comunicative.
È difficile in tali condizioni intravedere una possibilità di rapporto diretto con le cose che ci circondano, con gli elementi della natura, la terra, l’acqua, gli animali, il paesaggio, gli odori, le cose, gli attrezzi. “Percorsi Arte – Natura” stabilisce come nucleo del fare artistico, l’esperienza attraverso il rapporto con le cose, la conoscenza diretta tramite il lavoro, l’osservazione, lo studio dei materiali e dell’animale.
 Lavorare in gruppo non ha solo una valenza pedagogica ma esistenziale, filosofica, laddove il soggetto viene inteso come pluralità, come rapporto “tra”.
In situazioni di questo tipo, il rapporto con l’altro non si misura solo come chiave per la realizzazione dell’opera, ma anche come valore estetico in sé, per quanto ha di armonico ed efficace.
Si deve tenere conto della conoscenza e dell’esperienza degli interlocutori e avere una grande disposizione all’ascolto. Ponendoci come interlocutori degli enti (associazione, cooperativa, istituzione) che animano Villa Smeraldi e costruendo un pollaio, abbiamo tentato di inserirci nella vita sociale della Comunità Agricola. Attraverso la comprensione della realtà Contadina e di come la sua civiltà si sia espressa, nell’approccio al lavoro dei contadini, artisti della terra, si scopre un'idea di armonia che nasce da una giusta sintesi tra esperienze tramandate e attenzione alla situazione presente, tra conoscenza empirica e tradizione orale. In questo contesto ha avuto grande importanza il riferimento alla biodinamica, scienza dell’agricoltura pervasa da impulsi artistici e fonte di ispirazione.
Arte e agricoltura: esperienza, lavoro, salute.
Un'esperienza che ha alternato momenti teorici e di riflessione su alcuni aspetti dell'arte contemporanea al lavoro sul campo, fatto di fatica, di invenzione, di materiali recuperati in loco, della loro diversa funzione relativamente all'uso che necessitava, di ingegneria semplice, di invenzioni e di sistemi di costruzione. Nel rapporto tra funzione e armonia, tra conoscenza e creatività' sta l'importanza di questo modus operandi. Una pratica che intende valorizzare gli aspetti tradizionali e sostanziali della cultura contadina, del rispetto per l'ambiente e dell'amore per la natura. Si vive così il dialogo tra contemporaneità e passato, tra un‘immaginazione “esplosa” e aperta a nuovi mezzi espressivi e un’immaginazione figlia della necessità, spesso della povertà com'é stata quella espressa dalla cultura contadina, non per questo meno fantasiosa, ingegnosa e bella. Questo è l’obiettivo del progetto ideato, progettato e realizzato con i partecipanti al Workshop. Donato Bergonzoni, che lavora al museo contadino, ci ha seguito e aiutato nella realizzazione di quest’opera. Questa buona sinergia e collaborazione stanno a significare che esiste veramente un’apertura verso l’arte. Questo è importante perché attesta la possibilità di un confronto tra arte, tecnica e agricoltura, tra esperienze e conoscenze appartenenti ad altre discipline, altri campi; è una grande soddisfazione per me, che da tempo insisto su questo punto, convinto che una delle possibili strade di ricerca artistica contemporanea sia proprio il rapporto tra arte e altre discipline.
Nella mia attività d‘artista ho collaborato anche con psicoterapeuti, matematici, musicisti, architetti, cercando di creare un territorio franco dove ci si possa confrontare, definire un linguaggio nuovo, dare vita a dei progetti. È proprio dal rapporto con le altre discipline che nasce la possibilità di una nuova proposta, un nuovo ruolo, un nuovo tipo di pubblico. Nuovi termini linguistici devono essere inventati perché possano esprimere concetti che non sono più identificabili con la sola arte o con la sola agricoltura ma che siano espressione di entrambi, così come l’idea generica di pubblico deve essere sostituita da quella di comunità. Questo significa tracciare nuovi confini, necessariamente aperti, creare un territorio di ricerca vergine, tale da contenere nuovi concetti e idee provenienti dalle discipline che si pongono in relazione. In questo modo si evitano luoghi comuni, cliché e sterile manierismo.
Pensare e allo stesso tempo fare un'attività fisica in campagna al contatto con la terra, gli alberi, l’erba, produce tranquillità, rilassatezza, lucidità. Il pollaio realizzato a Villa Smeraldi è l’esempio concreto di un’esperienza che ha richiesto tanto lavoro fisico, intellettuale e organizzativo e che si è realizzata attraverso una buona pratica agricola, artistica e formativa.
Dal catalogo “Pollaio Smeraldi,” e dito da  Provincia di Bologna, 201